Vita di montagna
Regia: Fabio Gianotti / Produzione: Kosmoki
Gianfranco è un ragazzo di 36 anni. Vive ai Bardenghi in una piccola frazione montana in Valle Stura di Demonte (Cuneo). L’abbandono della montagna e l’assenza di una comunità a cui appoggiarsi lo hanno costretto a trovarsi un lavoro in fabbrica, vicino a Cuneo, per poter sopravvivere. Non vuole abbandonare quel piccolo borgo in cui è nato e non si rassegna a vedere le borgate sparire nella natura. Tutti i giorni, con qualsiasi condizione metereologica, sale ai Bardenghi dove tiene pecore, conigli, oche, galline. Coltiva patate, raccoglie castagne, tiene in ordine i boschi e cerca di tenere viva quella piccola frazione nella speranza un giorno di poter vedere altre famiglie ri-abitare quelle case, proprio come quando è nato, dove ai Bardenghi vivevano 80 persone.
Regia: Andrea Guarnieri / Produzione: Andrea Guarnieri & c. s.a.s. / Originie: Italia
Racconto di formazione o improbabile manuale di zootecnia, storia d’amore o metafora delle difficoltà esistenziali di ogni coppia, questo film documentario realizzato in alta definizione nell’arco di tre anni di riprese, ha per protagonista un giovane pastore trentino sospeso fra la millenaria tradizione della transumanza ovina e l’attualità di un mestiere che è inaspettatamente ritornato ad essere redditizio.
Regia: Remo Schellino / Produzione: Polistudio di Remo Schellino / Origine: Italia
La solitudine come scelta, la montagna come casa. Il documentario racconta la storia di Armando Sereno, l’anziano pastore che vive isolato in una casa ai piedi del Monto Antoroto, a Valdinferno, una frazione di Garessio, in provincia di Cuneo. Armando parla della solitudine, della montagna e dello spopolamento che l’ha colpita, degli animali e della loro vita segreta, delle stagioni con le loro grazie e i loro inferni, della guerra, l’unico motivo che lo ha portato via dalla sua baita.
Reduce della Campagna di Russia, ricorda con precisione quella fase della sua vita e ciò che la guerra gli ha mostrato del mondo.
E poi narra la gioia, lo stupore del ritorno, talora insperato, la tranquilla felicità di potersi ancora dedicare a quegli antichi, rituali gesti, che hanno fatto la sua vita.
In un mondo traboccante di oggetti e desideri indotti, prodotti artificialmente da standard pubblicitari che descrivono un’unica possibile parabola di felicità e che determinano scelte obbligate e sforzi immani quanto inutili di adeguamento, la sua storia è forse un messaggio non voluto, un richiamo alla bellezza dell’essenzialità e alla pace che può regalare la semplice riduzione dei bisogni, la “luce dentro” che riesce ad accendere.